Giacomo Bove
Maranzana (Asti), 23 aprile 1852 - Verona, 9 agosto 1887
Figlio di agricoltori di Maranzana, vissuto sempre tra vigne, boschi e campi, Bove sognava il mare e la sua più grande aspirazione era quella di poter frequentare l’Accademia navale. Ad essa, però, erano allora ammessi solamente i nobili e i ricchissimi. Il padre di Bove non era ricco, ma venne ad un accordo con i dirigenti: avrebbe fornito gratuitamente il vino agli accademisti, purchè fosse esaudito il sogno del figlio. Promosso guardiamarina, Giacomo Bove fu inviato con la famosa spedizione della corvetta "Governolo" a studiare l’isola di Borneo (1873-1874), quindi prese parte alla missione italiana in Giappone.
Sul principio del 1877 si sparse per l’Europa la notizia che Adolfo Enrico Nordenskyold si accingeva a tentare il passaggio del nord-est. Era questo uno degli ultimi grandi problemi geografici lasciati in eredità alla sua generazione. Si trattava di sapere se da un punto del nord dell’Europa occidentale, particolarmente delle coste della Penisola Scandinava, si potesse per mare, costeggiando la Russia e la Siberia, giungere allo stretto di Bering, dove l’Asia porge quasi la mano all’America
"Se la navigazione era possibile, non solo una grande strada commerciale s’apriva all’attività degli uomini, permettendo un passaggio dall’Atlantico al Pacifico relativamente così breve che avrebbe sostituito la circumnavigazione di mezzo globo, ma anche si mettevano in congiunzione le foci dei grandi fiumi siberiani con l’Europa e l’America, dando valore ai prodotti vegetali e minerali di un territorio immenso, tenuto, dalle condizioni climatiche, quasi del tutto fuori del mondo abitato".Una spedizione che fosse partita dal nord della Scandinavia e avesse costeggiato fino allo stretto di Bering tra la terra e il parallelo 80°, avrebbe anche potuto raccogliere un’enorme massa di cognizioni geografiche intorno ad isole appena intraviste e mal disegnate dai precedenti navigatori. E Bove ottenne di poter partecipare, rappresentante dell’Italia, alla spedizione Nordenskyold.
Il 4 luglio 1878 la "Vega", baleniera a vapore, salpa da Gothemburg, nella Svezia, con gli auguri di tutta Europa e dell’Italia in particolare. Attraverso furiose tempeste, Bove giunge in Norvegia a Tromsoe, quindi muove alla conquista sognata della Nuova Zenlya, ove giunge, dopo accanite lotte "con un vento tempestoso ed un mare estremamente tormentato". Cominciano gli studi, le ricerche, le raccolte. Bove compie il rilevamento dei paraggi di Port Dickson, indi quello dell’isola Taimir e poi ancora studi, ricerche, raccolte intervallate da lotte con il mare in tempesta mentre il freddo polare gli provoca dolori lancinanti al capo ed alle membra.
Bove, durante il lungo inverno, svolse mansioni di ufficiale osservatore, specie dei fenomeni talassografici, ed ebbe modo di mettere in evidenza i suoi notevoli meriti scientifici e nautici. Dopo quasi un anno di navigazione, e cioè il 18 luglio 1879, Bove potè finalmente passare il tanto desiderato Capo Est, "il punto in cui il vecchio e il nuovo mondo si tendono la mano". La Baia di S. Lorenzo, la Baia di Konyan, l’isola di Beering, Sokohana, furono le ultime tappe del viaggio. Il 14 febbraio 1880 la Vega, rientrata in Europa, toccava il porto di Napoli. Tornato in patria, Bove illustrò attraverso conferenze e pubblicazioni 1o storico viaggio, ed intanto con Cristoforo Negri, pensò di organizzare una spedizione italiana alla calotta antartica. Il Governo italiano, però, non mise a disposizione dell’esploratore astigiano un adeguato finanziamento ed il progetto dovette così essere accantonato.
Bove, ormai è preso come da una febbre per i viaggi e per le esplorazioni scientifiche. Egli non ha certo dimenticato le tremende sofferenze fisiche sopportate nel viaggio precedente, anzi le conseguenze si fanno ancora sentire con dolori improvvisi al capo, capogiri inaspettati, torpore ai muscoli delle braccia e delle gambe. Il pioniere astigiano deve continuare a viaggiare, perchè "sente" che questo è il suo destino. Il suo non è vano amore di gloria, ma un desiderio di ricercare, di scoprire, di conoscere ciò che ancora rimane segreto all’uomo. Così accetta di guidare una spedizione verso la Patagania meridionale e la Terra del Fuoco e, potendo, anche alla Terra di Graham, sotto gli auspici del governo argentino.
La spedizione di cui fanno parte geologi e naturalisti, parte da Buenos Ayres il 17 dicembre 1881 con la corvetta "Cabo de hornos" ed effettua fruttuose esplorazioni delle coste della Patagonia e della quasi sconosciuta Isola degli Stati.
Approdata a Punta Arenas nell’aprile, la spedizione si trasferì sulla piccola goletta "San Yosè", ma naufragò durante una tempesta presso la costa della Terra del Fuoco (maggio 1882). Per mancanza di mezzi, 1a spedizione dovette rinunciare a proseguire ulteriormente, ma Bove accetta sempre dal Governo argentino l’incarico di spedizioni ed esplorazioni scientifiche nell’America meridionale. Poca prima, Bove sposa la vedova di un ufficiale ungherese, Luisa Jaworka De Barasegno.
Tra il 1883 ed il 1884 Bove effettua un viaggio nel territorio argentino di Misiones, ricercando le condizioni favorevoli all’insediamento di una numerosa colonia di emigrazione italiana, quindi torna nuovamente nella Terra del Fuoco e in Patagonia, ove raccoglie collezioni d’interesse scientifico. Degli abitanti della Patagonia, Bove scrisse: "gli aborigeni della Patagonia sono, senza dubbio, una grande e forte razza: l’elegante portamento, la proporzione del loro corpo, il grande sviluppo degli arti, dovuto al continuo cavalcare, l’incedere maestoso, e la sicurezza della propria.fòrza, dannno loro un aspetto formicabile.
Nel 1886 il nostro esploratore ebbe l’incarico dal governo italiano di esplorare il bacino del Congo fino alle cascate di Stanley, per riferire intorno alle condizioni di quell’immenso bacino che s’apriva alla penetrazione europea.
Accompagnato dal capitano Fabrello, Bove raggiunse Banana il 17 gennaio 1886, indi Matadi, ove i due trascorsero l’intera stagione delle piogge, quindi, con la carovana di portatori, proseguirono alla volta di Leopoldville, da dove ripresa la via fluviale, risalirono il Congo sino alle cascate di Stanley. Di qui, il 23 agosto, riprendevano la via del ritorno.
Da questa impresa Bove ritornò sfinito e malato. Durante i suoi viaggi di esplorazione, egli aveva affrontato il gelo polare ed il caldo torrido africano e, a lungo andare, il fisico ne aveva irrimediabilmente risentito. Ora Bove, a soli 35 anni, era costretto a lasciare il servizio per le sue condizioni di salute e ad assumere la direzione di una compagnia di navigazione, "La Veloce". Ma il nostro esploratore non si rassegna a questa nuova vita che per lui doveva rappresentare indubbiamente un’umiliazione e, soprattutto, la fine di tutti i suoi più arditi sogni di esploratore.
Si dice che la sua mente abbia incominciato a vacillare; è certo comunque che alle precarie condizioni fisiche, si aggiunse il tormento delle delusioni, delle invidie di coloro che non lo seppero capire e, specialmente, di coloro che ostentavano indifferenza o addirittura contrarietà ai suoi progetti.
Il 9 agosto 1887 Bove si suicida a Verona.
Alle 8,30, un contadino che girava nei campi in prossimità dell’Adige, ai piedi d’un gelso, sotto i folti rami, vede disteso un corpo umano. La mano destra impugnava ancora la rivoltella: era Giacomo Bove.
L’italia perdeva in Lui un grande esploratore che, se fosse ancora vissuto a lungo, avrebbe compiuto imprese mirabili. Pur morendo così giovane, egli lasciò alla Patria un retaggio non indifferente. Aveva scosso l’apatia dei nostri Governi; aveva suscitato nel nostro popolo la sensazione della sua potenza spirituale e geniale, appassionandolo ai problemi scientifici.